6 novembre 2020

Il regime di tassazione dei dividendi di fonte comunitaria è regolato dall’art. 89, commi 3-bis e 3-ter del T.U.I.R.; tali commi sono stati inseriti dall’art. 26, comma 1 della Legge 7 luglio 2016, n. 122, che ha recepito la Direttiva 2014/86/UE.

In sintesi, una società italiana che abbia i requisiti per essere qualificata come “madre” ai sensi della Direttiva Madre-Figlia potrà beneficiare del regime di esclusione al 95% dei dividendi:

  • non solo ove essi siano totalmente indeducibili in capo alla società “figlia” UE (secondo la regola generale dell’art. 89, comma 3, primo periodo), ma anche
  • nei casi in cui si tratti di remunerazioni “ibride”(ovvero, parzialmente deducibili in capo alla figlia stessa); in questo caso, l’esclusione si applicherà – sempre nella misura del 95 per cento – sulla sola parte non deducibile per l’emittente.

Pertanto, per i dividendi cd. “ibridi” provenienti da società figlie UE (così come per gli “ibridi” di fonte interna, disciplinati dal comma 3-bis, lettera a) dell’art. 89) vi è un perfetto regime di simmetria tra:

  • la quota indeducibile in capo all’emittente, e
  • quella esclusa dalla base imponibile del percettore.

Per tutti i restanti dividendi di fonte estera, e, dunque,

  • non solo per quelli di fonte extra UE,
  • ma anche per quelli distribuiti da società comunitarie nei casi non regolati dalla Direttiva Madre-Figlia,

la medesima simmetria non è prevista in alcun caso (torna ad applicarsi l’art. 89, comma 3, primo periodo, del T.U.I.R.). Di conseguenza, in relazione ad essi possono verificarsi fenomeni di doppia imposizione: concorre a tassazione in Italia anche la parte del provento non deducibile per la partecipata estera.

Una siffatta disparità di trattamento sembra contrastare con l’art. 63, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che vieta tutte le restrizioni ai movimenti di capitali non solo tra Stati membri, ma anche tra Stati membri e Paesi terzi.

 

A cura di Antonio Fiorentino Martino.