26 maggio 2022
Uno studio associato può divenire una società tra professionisti (“s.t.p.”) – oltreché tramite il conferimento in società del complesso dei beni appartenenti allo studio – mediante la trasformazione dello stesso in una società.
Come precisato dall’Agenzia delle Entrate in una Risposta a interpello del 2018, ai fini delle imposte sui redditi tale operazione – poiché determina la “mutazione” di un soggetto che non svolge attività commerciale (i.e. lo studio professionale, che genera reddito di lavoro autonomo) in un soggetto IRES (ossia, la s.t.p., produttiva, invece, di reddito di impresa) – è regolata dall’art. 171, comma 2, del TUIR, ai sensi del quale “La trasformazione, effettuata ai sensi dell’art. 2500-octies del codice civile, di un ente non commerciale in società soggetta all’imposta di cui al Titolo II si considera conferimento (…)”. Con la conseguenza che, dacché il soggetto conferente è un lavoratore autonomo, l’operazione di cui in parola risulterà disciplinata ai sensi del combinato disposto degli artt. 9 e 54 del TUIR.
In particolare, l’art. 54 del TUIR, in tema di reddito di lavoro autonomo, stabilisce che “Concorrono a formare il reddito”, tra l’altro:
- “le plusvalenze dei beni strumentali (…) realizzate mediante cessione a titolo oneroso”; nonché
- “i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività (…) professionale”.
Siccome, secondo l’art. 9, comma 5, del TUIR, “ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per (…) i conferimenti in società”, il conferimento di beni di uno studio professionale in una s.t.p. è un’operazione “realizzativa”, con riguardo alla quale la base imponibile ai fini IRPEF è pari alla differenza tra il valore normale del bene e il suo costo fiscale.
Va ancora osservato che l’art. 17, comma 1, lett. g-ter), del TUIR, stabilisce che i corrispettivi ricevuti a seguito della cessione della clientela e degli elementi immateriali, ove percepiti in un’unica soluzione, possono essere assoggettati al regime di tassazione separata.
Meno chiaro risulta, invece, il trattamento ai fini delle imposte indirette. In linea di principio, la trasformazione, non comportando alcun trasferimento di beni dalla sfera giuridica di un soggetto (lo studio professionale) a quella di un altro (la s.t.p.), bensì un mero mutamento di clausole statutarie, dovrebbe costituire un’operazione fuori campo IVA ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. f), del D.P.R. n. 633/1972; tuttavia, come indicato anche dall’Agenzia delle Entrate nella richiamata Risposta a interpello, lo studio professionale viene assimilato a un “ente non commerciale”, con la conseguenza che la predetta regola potrebbe non operare.
In ogni caso, ove l’operazione non fosse imponibile ai fini IVA, la stessa dovrebbe essere assoggettata all’imposta di registro. L’art. 4, comma 1, lett. c), della Tariffa – Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, prevede che essa sia dovuta in misura fissa con riguardo agli “Atti propri delle società di qualunque tipo ed oggetto e degli enti diversi dalle società, compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni, con o senza personalità giuridica, aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (…)”. Visto il richiamo della norma al “esercizio di attività commerciali”, però, è anche qui dubbio che la predetta misura fissa possa essere estesa agli atti di trasformazione di enti “non commerciali” in società commerciali (come avverrebbe nella nostra fattispecie). In proposito, è auspicabile che venga fornito un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate.