Con la Sentenza n. 25698 del 1° settembre 2022, la Corte di Cassazione ha stabilito che al socio persona fisica residente in Italia (non esercente attività d’impresa) spetta il credito per le imposte pagate all’estero sui dividendi distribuiti da una società non residente, sebbene tali redditi siano assoggettati in Italia a ritenuta a titolo d’imposta o a imposta sostitutiva, laddove la Convenzione conclusa tra Italia e Stato estero neghi il credito d’imposta nell’ipotesi in cui il reddito sia soggetto ad un prelievo sostitutivo su richiesta del beneficiario.
La controversia, che rappresenta una novità assoluta sul tema, scaturisce dall’applicazione della normativa italiana e di quella pattizia.
Nello specifico, l’art. 165 del TUIR dispone che per poter beneficiare del credito estero è necessario che i dividendi prodotti nello Stato estero concorrano a formare il reddito complessivo italiano; ciò significa, al contrario, che il credito d’imposta non spetta, in base alla normativa interna, se i dividendi sono tassati in Italia tramite un prelievo sostitutivo.
Così avviene per i dividendi di fonte estera percepiti da persone fisiche, i quali sono assoggettati inderogabilmente:
- a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta pari al 26 per cento, operata sull’importo dei dividendi al netto delle ritenute applicate dallo Stato estero ai sensi dell’art. 27, commi 4 e 4-bis del DPR n. 600 del 1973 (c.d. “netto frontiera”), qualora intervenga un intermediario residente nella riscossione; ovvero
- ad imposta sostitutiva pari al 26 per cento, da autoliquidare in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi compilando il quadro RM, laddove i dividendi siano percepiti direttamente senza il tramite di un intermediario, ai sensi dell’art. 18, comma 1 del TUIR.
La disposizione sul credito d’imposta contenuta nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito concluse dall’Italia sembrerebbe essere a prima vista allineata alla normativa nazionale, poiché nega la deduzione dall’imposta sui redditi italiana delle ritenute prelevate all’estero sui dividendi qualora essi siano assoggettati in Italia a un prelievo sostitutivo, se non fosse che poi contiene di seguito la locuzione “su richiesta del beneficiario”.
Dunque, in base ad un’interpretazione letterale, la Corte ha stabilito che sui dividendi di fonte estera percepiti da una persona fisica residente in Italia e ivi tassati tramite un prelievo sostitutivo deve essere riconosciuto il credito per le imposte pagate all’estero; e ciò proprio perché tale imposizione non avviene “su richiesta del beneficiario”.
Corrobora tale lettura il fatto che nei più recenti Trattati negoziati dallo Stato italiano è stata introdotta la particella “anche” prima della locuzione “su richiesta del beneficiario”; intervento che ammetterebbe per tali Convenzioni (e.g. Hong Kong, Malta, Principato di Monaco, Singapore, etc.) la negazione del credito d’imposta anche ove la tassazione sostitutiva italiana sia l’unico regime possibile. Addirittura, per rimarcare detto indirizzo, i Trattati conclusi dall’Italia dal 2017 in avanti (e.g. Cina) contengono una formulazione ancora più esplicita poiché la locuzione “su richiesta” è stata abbandonata in favore della formulazione “su richiesta o meno”.
Gli effetti della pronuncia in commento potrebbero essere significativi, potendo promuovere la presentazione di istanze di rimborso ex art. 38 del DPR 602 del 1973. In tali casi, il contribuente dovrà provare l’avvenuta (e definitiva) tassazione all’estero fornendo: (i) una certificazione rilasciata dall’Autorità fiscale estera che attesti l’avvenuto pagamento; oppure (ii) una certificazione rilasciata dal soggetto che ha corrisposto i redditi di fonte estera, accompagnata dalla ricevuta di versamento delle imposte estere ovvero dalla prova che tale soggetto sia obbligato a detto versamento in base alla normativa dello Stato straniero.
L’istanza di rimborso sembra l’unica ipotesi percorribile; allo stato attuale ci si deve aspettare l’instaurazione di un lungo contenzioso.